«LE CANZONI COME SCUDI PER ATTRAVERSARE LA VITA»

IL MESSAGGERO VENETO   «LE CANZONI COME SCUDI PER ATTRAVERSARE LA VITA» Claudio Baglioni festeggia in tour i 50 anni di carriera «Al Festival di Sanremo ci sono ancora margini per osare»   Per Claudio Baglioni i riflettori sono l’altro aspetto di una natura introspettiva. Con il maxi tour “Al Centro”, che lunedì 22 aprile arriverà a Trieste, il cantautore festeggia cinquant’anni di carriera. In realtà, da architetto, è come se progettasse ogni volta un mondo nuovo. Dove le canzoni sono architravi e provocazioni allo stesso tempo. Esattamente come è successo da direttore artistico al Festival di Sanremo nelle ultime due stagioni.   Baglioni, oggi chiunque pretende di essere al centro. Lei cosa risponde a chi vuole tutto e subito? «Tutto e subito è contro natura. Contro la natura dell’arte, soprattutto. Nel subito non si crea nulla: nemmeno una canzone. Ogni cosa deve maturare. Prima di tutto noi stessi. Poi le idee che portiamo dentro. E per entrambe le cose, ci vuole tempo. Se le cose fossero così facili, tutti riuscirebbero ad avere successo e, soprattutto, a mantenerlo. Il fatto che pochi lo abbiano e pochissimi riescano a mantenerlo, dimostra che facili non sono. Neanche un po’».   La nostra canzone ha nuove leve, ma non più talenti come lei, Dalla o Vasco. Viviamo un periodo da basso impero, aldilà dell’esperimento Festival di Sanremo? Cosa pensa di aver cambiato in due Festival di Sanremo? Ritiene che i suoi risultati siano un punto di non ritorno? Che la nuova strada sia un po’ obbligata?   «Spero di aver contribuito a cambiare l’idea del Festival, insistendo, soprattutto, sul concetto di qualità. Qualità nella scelta di canzoni, artisti, generi musicali; qualità di uno show inteso come uno spettacolo musicale ripreso dalla televisione e non un programma televisivo inframezzato da canzoni. I risultati mi sembra ci abbiano dato ragione, con i risultato sorprendente degli ascolti nella fascia giovane. La più difficile da intercettare e soddisfare. Non so se tutto questo costituisca un ‘punto di non ritorno’. Naturalmente me lo auguro. Più che una ‘strada obbligata’, però, mi piacerebbe aver indicato una direzione di marcia».   C’erano margini per osare ancora di più?  «I margini per osare ci sono sempre. Guai se non fosse così. Sarebbe la fine. La mia storia artistica personale lo testimonia: ho sempre cambiato – ripetersi significa annoiarsi e annoiare – e, ogni volta, ho cercato di alzare un po’ di più l’asticella della qualità. Se festeggio cinquant’anni con la musica, significa che queste scelte non erano poi così sbagliate. Eliminare l’eliminazione e la serata delle cover, aumentare la durata delle canzoni, e dare spazio, fiducia e ‘dignità’ di Big ai giovani sono stati passi importanti.  La strada finisce qui? Non credo. Non la strada che ho in mente io, almeno. Ci sono altri passi che possono far crescere ancora un ‘patrimonio italiano’ come il Festival di Sanremo. E, visto che parliamo di Sanremo: ‘se son fiori, fioriranno’».       La Generazione Z, fra il ‘95 e il 2012, fra sei anni coprirà il 30 % di posti di lavoro nel mondo. Anche cambiare radicalmente un Festival di Sanremo può servirci per essere meno provinciali? In un mondo come il nostro – globalizzato, sia in senso economico che ‘social’ – essere ‘provinciali’, nel senso deteriore del termine ovviamente, è un assurdo logico. La provincia del nostro millennio è il mondo. È del mondo che siamo cittadini. Il che non significa che dobbiamo imparare la sua lingua. Al contrario: significa che abbiamo la straordinaria opportunità di insegnargli a parlare la nostra. Opportunità che i ragazzi della mia generazione non hanno avuto. E che, mi auguro, quelli della Generazione Z sapranno cogliere. Credo che ne guadagnerebbero tutti: il mondo e loro. 4.Nelle piazze rivediamo gli studenti votati alla causa ambientalista. Per la prima volta, dal ’68, siamo davanti a una generazione che può davvero cambiare le cose?  «Personalmente, lo spero. Anche perché il rischio è che la generazione successiva non troverà più nulla di cui occuparsi. Sarebbe un vero disastro. Sono convinto che invertire la rotta sia ancora possibile. E mi auguro vivamente che riusciremo a farlo.   Inpiazza torna il Bob Dylan di protesta. Quale di Baglioni canzone ti piacerebbe cantassero?  «“Noi no” è senza dubbio un manifesto importante, anche perché è stato adottato spontaneamente dai giovani, soprattutto a Palermo, come simbolo di opposizione a conformismo, opportunismo, silenzio e omertà. Io credo che questa semplice parola di due lettere sia la miccia, il cuore e il simbolo di ogni rivoluzione. Rivoluzione personale, famigliare, collettiva, sociale, universale. Tutte le volte che le cose non sono come dovrebbero essere, abbiamo il diritto di dire “No!”. L’importante è riuscire a trovare il coraggio e la forza di dirlo».   Quando canta, avverte che il suo pubblico deve difendersi da qualcosa? Stiamo parlando ormai di tre generazioni con percezioni e paure diverse…  «Tutti dobbiamo difenderci da qualcosa. La vita aggredisce. Non da oggi. E le canzoni possono essere rifugio, anche scudo. E, così come ci si abbraccia più forte, a volte si sente il bisogno di cantare, insieme, più forte. Vinile, cd, mp3 sono modi diversi di ‘rammendare un’assenza’. Va bene quando non c’è modo di vedersi. Ma nulla può dare le stesse emozioni di uno sguardo, uno stringersi le mani, un parlarsi o tacere faccia a faccia. Non rinunciamoci».

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