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«Ho pensato al ritiro maresto ConVoi» Claudio Baglioni tra il disco, il tour e la depressione «Ormai parlare di incisioni mi fa pensare all'epitaffio» Andrea Spinelli Amarcord con la maglietta fina ieri mattina a Roma per Claudio Baglioni. C'era da presentare il nuovo album «ConVoi», sul mercato oggi a dieci anni tondi tondi dalla precedente raccolta d'inediti «Sono io, l'uomo della storia accanto», e lui ha scelto lo stesso hotel e lo stesso salone in cui nel '69 eseguì ad un gruppetto di addetti ai lavori il suo primissimo 45 giri. «La facciata A era "Una favola blu", ma fu quella B di "Signora Lia" ad avere successo e a spingermi verso il "cantautorame" piuttosto che l'"interpretume"; sono passati 44 anni, e siccome 4 è il mio numero fortunato, tornare qui mi è sembrata una scelta doppiamente benaugurante», ha spiegato Baglioni, facendo poi seguire alle parole la musica con un'esecuzione voce e chitarra di quella sua hit primigenia. «Originariamente il pezzo s'intitolava "Signora Lai" e parlava di una fedifraga, ma quando al provino in Rca lessi sul badge appeso al camice del tecnico che mi stava aggiustando il microfono proprio il cognome "Lai", pensai alla mia carriera non ancora sbocciata e pro bono pacis decisi di cambiare seduta stante quel riferimento col primo nome monosillabico che mi passava per la mente». Storie dell'altro secolo che scivolano tra le consapevolezze di un sessantaduenne in affanno con la vita: «Otto mesi fa ho pensato addirittura di mollare tutto e fare il fatidico passo indietro senza tanti piagnistei. Ma avevo da parte così tante cose che m'è sembrato un peccato lasciarle chiuse nel cassetto, così ho chiamato il mio storico tastierista Walter Savelli e insieme abbiamo iniziato a lavorarci sopra». Da questo ritorno di fiamma è nato un work in progress che il divo del piccolo grande amore ha provato a gestire con una logica anni Sessanta, affidando un nuovo brano ad iTunes ogni due settimane, come se si trattasse di tanti 45 giri: «Con la reincisione del mio primo album per il progetto "Q.p.g.a." ho pensato per davvero di aver chiuso il cerchio, anche perché da qualche tempo la parola "incisione" comincia a darmi il senso di epitaffio, di incisione sulla lapide che rende finito quel senso d'infinito che l'artista si porta dentro. Dopo venticinque anni di carriera si diventa michelangioleschi, cappellani sistini nel costruire cattedrali di musica che finiscono col fagocitarsi il senso del particolare. Ecco perché ho ritrovato la mia dimensione lavorando con un ristrettissima squadra di amici come il chitarrista Paolo Gianolio e i batteristi Gavin Harrison ed Elio Rivagli». Ma nei palasport, dove approderà a marzo (al Palamaggiò di Castelmorrone sarà il 4 e 5) senza rinunciare prima ai tradizionali appuntamenti solistici di fine anno «Dieci dita», Baglioni ha giurato che i musicisti saranno molti di più. Anche perché a sua disposizione il cantore della maglietta fina avrà pure questi dodici nuovi singoli a cui «ConVoi» prova a consegnare organicità con l'aggiunta di un'introduzione, di un intermezzo e di un finale. L'unico pezzo non ancora svelato dalle anticipazioni su iTunes s'intitola «Una storia vera» e con i suoi legami al primo Baglioni è tra le cose migliori dell'intero progetto. Il resto spazia dalla citazione di Lorenzo de' Medici in «Gli anni della giovinezza» («Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia...») al «sabor» tanguero di «Come un eterno addio» alla strizzatina d'occhio ai Procol Harum di «Dieci dita»: «Mi sento divorato come ventiré anni fa, quando pubblicai un altro album arrivato a succhiarmi l'anima quale "Oltre". Ricordo che finite le registrazioni scappai letteralmente, ma dopo tre mesi gli uomini della casa discografica vennero a prelevarmi per farmi lavorare. Stavolta non è andata molto diversamente, tre settimane fa sono caduto vittima della depressione ed ora sono qua solo perché me lo chiede la Sony. Questo disco nasce fin dal titolo da un'idea di condivisione, ma anche di viaggio, di vita, di movimento alla ricerca di quel Santo Graal o di quel Far West che ci portiamo dentro. Cosa dimostrata chiaramente da queste canzoni che su disco sono già leggermente diverse dalle versioni messe in rete e che nei concerti sono destinate a trasformarsi ancora di più«. «Isole del Sud» parla d'immigrazione. «Come musicista sono orgoglioso di quanto realizzato per dieci anni alle Pelagie con i concerti di "O Scià", ma come cittadino provo sconforto per le mancate risposte al dramma dell'immigrazione da parte della politica. Non è solo un problema di convivenza, ma anche di identità; non riusciamo a fare nulla per questa gente perché ormai non sappiamo più chi siamo».

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